Pina Del Core*


Abstract
This article examines the relationship between identity and culture. This constitutes a necessary choice for “understanding the other person”, and allows one to indicate specific paths for formation to enable each individual to constructively internalize the “otherness” with its diversity, especially in its cultural dimension. There is a need for reconsidering the issue of the relationship between culture and the individual’s identity, particularly its formation and educational implications. This comes from the understanding that, in order to carry out the correct intercultural educational processes which begin with learning in order to understand the other person, is necessary to outline ways for a critical and continuous re-elaboration of one’s own identity, and being able to assume those cultural signs that are part of one’s roots. Intercultural education must create conditions for people to learn to assume to decentralize themselves from their ethnocentric attitude, to change their perceptions and cognitive schemes which they generally perceive as representation of the other, especially those ‘foreign’ or ‘different’, thereby overcoming stereotyping and prejudices.
Keywords: personal identity, cultural identity, ethnic identity, culture and cultures, intercultural education, identity and otherness o alterity, paths and the processes of identity construction, stereotypes and prejudices
L’articolo prende in esame il rapporto identità e cultura. Esso costituisce una scelta necessaria per “comprendere l’altro” e consente di individuare percorsi di formazione tali da rendere le persone capaci di interazione costruttiva con l’altro, con il diverso, soprattutto sul versante culturale. La necessità di riconsiderare il problema del rapporto tra identità personale e cultura, in vista delle implicanze sul piano dell’educazione e della formazione, nasce dalla consapevolezza che per realizzare corretti processi di educazione interculturale che partano dall’imparare a comprendere l’altro occorre mettere in atto percorsi di rielaborazione critica e continua della propria identità e di riappropriazione dei segni della cultura su cui si sono costruite le proprie radici. L’educazione interculturale deve creare alcune condizioni perché le persone imparino a decentrarsi dal proprio abituale atteggiamento etnocentrico, a modificare le percezioni e gli schemi cognitivi con cui generalmente si rappresentano gli altri, soprattutto se ‘stranieri’ o ‘diversi’, e a superare stereotipi e pregiudizi.
Parole chiavi: identità personale, identità culturale, identità etnica, cultura e culture, educazione interculturale, identità e alterità, percorsi di costruzione dell’identità, stereotipi e pregiudizi

 

Introduzione

‘Comprendere l’altro’ nella prospettiva dell’intercultura richiede come premessa indispensabile una riflessione sulla questione dell’identità e del suo rapporto con la cultura.

Nel presente contributo intendo evidenziare, a partire da un prospettiva psicologica, come il rapporto tra identità e cultura, costituisca una coordinata essenziale su cui riflettere per impostare correttamente percorsi di costruzione dell’identità in un contesto di pluralismo e di complessità divenuti ormai una condizione umana comune che sfida continuamente l’educazione.

Il tema dell’identità messa in rapporto alla cultura è di grande rilevanza e criticità nella cultura contemporanea, soprattutto a motivo dei processi di globalizzazione e di omologazione da un lato, di frammentazione e di individualizzazione dall’altro, che toccano in particolar modo gli adolescenti e i giovani, è soprattutto quanti si trovano a dover costruire la propria identità in contesti culturali diversi da quello di origine e che sono immersi in ambienti ormai divenuti multiculturali.

In questo senso, la tematica va accostata in una prospettiva educativa, sia per una corretta lettura interpretativa del fenomeno sia per ritrovare vie di soluzione o strategie preventive da mettere in atto nei processi educativi. Ciò mentre impegna la ricerca e lo studio dal punto di vista teorico, interpella fortemente gli educatori e quanti si interessano all’educazione delle nuove generazioni.

L’analisi dell’interazione tra identità e cultura costituisce una scelta necessaria per ‘comprendere l’altro’, una via privilegiata per individuare percorsi di formazione tali da rendere le persone capaci di interazione costruttiva con l’altro, con il diverso, soprattutto sul versante culturale. Tale riflessione, inoltre, può offrire una chiave di lettura interessante della situazione di disagio diffusa nella società a diversi livelli, tra giovani e adulti, uomini e donne, popoli e nazioni, in questa fase di transizione storica. Si tratta di una categoria che, tradotta in termini pedagogici, consente di individuare modelli formativi e itinerari di crescita molto più aderenti alla realtà e alla storicità della persona.

Sono chiamati in causa i percorsi di costruzione dell’identità, soprattutto in adolescenza, che toccano non solo l’appartenenza di genere, ma riguardano la relazionalità globale, cioè la capacità di entrare in relazione con l’altro, con le molteplici alterità che abitano le nostre città, divenute punti di incontro di stranieri, di persone ‘diverse da noi’ provenienti da diversi paesi con culture, lingua, tradizioni, valori diversi. Assumendo l’ipotesi che la differenza, o meglio la diversità, sia una risorsa comunicativa importante nell’ambito dell’esperienza di sé verso l’altro che getta le basi per una positiva interazione tra l’identità e l’alterità, occorre tuttavia considerare che l’elemento ‘cultura’, con le sue identità e le sue differenze, costituisce un punto cruciale per la crescita dei giovani, in quanto l’essere diversi dall’altro può assumere peso e significato innanzitutto per sé e per la propria costituzione identitaria.

La necessità di riconsiderare il problema del rapporto tra identità personale e cultura, e delle sue implicanze sul piano dell’educazione, nasce dalla consapevolezza che per realizzare corretti processi di educazione interculturale che abbiano come punto di partenza l’imparare a comprendere l’altro occorre realizzare percorsi di rielaborazione critica e continua della propria identità e di riappropriazione dei segni della cultura su quali si sono costruite le proprie radici.

Lo studio dei processi e dei percorsi di formazione che connotano la crescita della persona perché possa pervenire a un’identità ‘compiuta’, in cui l’identità personale e culturale si integrano nell’insieme della personalità, è al centro dell’attenzione delle scienze psicologiche e sociologiche. Tuttavia la ricerca in questo ambito sembra non aver ancora messo a fuoco con chiarezza il tema del rapporto identità-cultura con tutte le sue implicanze teoriche e pratiche.[[1]]

L’ottica con cui viene affrontato l’argomento si fonda su alcuni assunti principali attorno ai quali si articola la riflessione:

  • l’identità si costruisce dentro una cultura o una molteplicità di culture derivanti dall’appartenenza a gruppi differenti (familiare, di genere, di generazione, di ceto, di status socioeconomico, ecc. ) che connotano appunto l’identità personale;
  • la cultura a sua volta costruisce le identità personali attraverso le sue molteplici forme di comunicazione, i suoi significati e valori, le tradizioni e le ritualità proprie dei diversi gruppi che la compongono;
  • alle radici di ogni cultura e di ogni formazione dell’identità c’è l’interazione umana che si visibilizza nei simboli o nei gesti che vengono interpretati secondo dei parametri anch’essi appresi tramite le interazioni sociali.

 

L’identità e il suo rapporto con la cultura nel contesto di una società ‘liquida’

In un mondo dove tutto è sfuggente e nel contesto di una ‘società fluida’, la questione dell’identità nella discussione pubblica e nel dibattito culturale è divenuta sempre più rilevante, se non proprio una vera ossessione per cui le ansie, i dolori e i sentimenti di insicurezza, derivanti dalla precarietà del vivere, trovano i singoli e le comunità sempre più spaesati o smarriti (Bauman 2003, p. VII).

La questione dell’identità – coma sostiene il sociologo Bauman – costituisce un ‘rompicapo tra i più intriganti’ per la sociologia, un rompicapo, nonché una sfida. L’identità, in altre parole, è la questione all’ordine del giorno, un argomento di scottante attualità nella mente e sulla bocca di tutti, un problema e principalmente un compito, «un compito non ancora realizzato, non compiuto, come un appello, come un dovere e un incitamento ad agire» (Bauman 2003, p. 19). [[2]]

La riflessione sull’identità personale e culturale in un’epoca segnata da fenomeni di grande portata, come la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica provocata dai new media, non è nuova. Accanto alle nuove possibilità di sviluppo umano e sociale tutto ciò sta mettendo in discussione non solo le concezioni tradizionali di identità e di cultura, ma la natura stessa delle medesime, modificandone quasi radicalmente i processi di formazione. La globalizzazione, infatti, ha innescato una serie di trasformazioni profonde che non toccano soltanto la vita sociale: esse hanno ristrutturato quasi totalmente il nostro modo di vivere, per le sue ripercussioni significative sugli atteggiamenti etici, sul modo di vivere il tempo e la progettualità, la corporeità e la sessualità, le relazioni e, dunque, la stessa identità (Giddens 2000, p. 24).

I mutamenti radicali prodotti dalla globalizzazione sembrano ormai irreversibili: essi hanno coinvolto gli ordinamenti statali, la condizione lavorativa, i rapporti tra le nazioni, le soggettività collettive, il rapporto Io-Altro, la produzione culturale, le identità dei singoli e delle istituzioni e la vita quotidiana di tanti uomini e donne.

Il fitto reticolo di società multietniche, multiculturali e multireligiose, che si è costituito nel mondo attuale, è un processo che sollecita a sviluppare inediti moduli di convivenza e un nuovo modo di fare educazione e formazione, anche se sul piano dei processi soggettivi la logica della ‘monocultura’ stenta a scomparire. Basti pensare al ritorno di forti tensioni d’identità, al riemergere di una forte nostalgia dell’appartenenza, della piccola patria, delle culture locali che sta rendendo sempre più difficile la reciproca tolleranza e la convivenza tra popolazioni della stessa area culturale, ma contrassegnate da differenti tradizioni, valori e consuetudini.

Una delle obiezioni più stimolanti in proposito è l’idea che il dialogo interculturale possa danneggiare le singole identità culturali, che il pluralismo porti al relativismo o alla perdita dei sistemi di significato e di valori. Pluralismo e dialogo non comportano necessariamente la perdita dell’identità, ma aprono all’alterità e, dunque, alla ricchezza delle diversità. E perché ciò avvenga si esigono dei percorsi di educazione interculturale che favoriscano il riconoscimento e la ri-appropriazione della propria identità per saper interagire con altre identità.

C’è un nesso tra l’identità e il costante mutamento sia a livello di sviluppo psicologico individuale sia nell’ambito dei processi di costruzione dell’identità sociale e culturale e quindi dell’appartenenza. Ciascuna forma di identità, infatti, è frutto di un processo di costruzione e, contrariamente alle acquisizioni scientifiche del passato, l’identità non sembra essere più legata all’ambiente delle origini o a tutti quegli elementi che potevano contribuire a definirla, come la cultura delle origini, la lingua, la religione, ecc. ma può essere rimodellata dalle esperienze vissute, dalle persone con cui si viene a contatto e dalle varie appartenenze. Dunque, si tratta di un processo costruttivo e dinamico che si sviluppa di continuo e, come afferma Bauman, «l’appartenenza e l’identità non sono scolpite nella roccia, non sono assicurate da una garanzia a vita, sono in larga misura negoziabili e revocabili» (Bauman 2003, p. 6).

A rendere più complessi, e forse problematici, tali processi sociali e culturali, ma anche evolutivi e formativi è il contesto di mobilità, di flessibilità e mutevolezza, tipico della modernità liquida. Di fatto, il compito di costruire la propria identità risulta molto più difficile in una società in cui tutto si muove e tutto cambia con rapidità, non potendo più fare affidamento su dei punti di riferimento solidi che in qualche modo vengono rifiutati nel timore di incontrare la rigidità e la limitatezza, ma soprattutto per l’impossibilità di adattarli alle nuove e cangianti esigenze degli individui (Bauman 2003, p. 28).

L’analisi delle profonde trasformazioni avvenute nella società in questa fase di liquidità, in cui ogni realtà è sottoposta a un processo di “fluidificazione”, mediante il quale per effetto dei fenomeni globali, qualsiasi entità passa dallo stato solido allo stato liquido, perdendo i suoi contorni chiari e definiti, fa emergere come siano molteplici gli ambiti della vita umana ad esserne investiti. Comportandosi come i fluidi che, non avendo forma propria, assumono quella del contenitore, l’affettività e le relazioni, la sessualità, l’identità personale e culturale, in particolare l’identità maschile e femminile, continuano a trasformarsi e la loro forma viene continuamente ridefinita dalle situazioni.

Sicché, l’identità, come ogni altra realtà umana, fa parte di un flusso che corre incessantemente, che si compone e si ricompone in un processo di rielaborazione continua. Il carattere mutevole e flessibile, la dinamicità di tali processi fa sì che le identità e le differenze siano flessibili e sempre suscettibili di ulteriori cambiamenti e sperimentazioni e tutto questo per non limitare la libertà individuale e il continuo processo di costruzione e di definizione dell’identità, ma soprattutto della possibilità di mutare continuamente all’interno di un contesto anch’esso in costante trasformazione (Semprini 2003, p. 86-87).

«Nella nostra epoca di modernità liquida in cui l’eroe popolare è l’individuo libero di fluttuare senza intralci, l’essere ‘fissati’, ‘identificati’ inflessibilmente e senza possibilità di ripensamento, diventa sempre più impopolare» (Bauman 2003, p. 31).

 

Crisi delle tradizionali concezioni di identità e di cultura

Il processo di globalizzazione, come suo primo effetto, ha generato l’omologazione delle culture, spegnendo le particolarità e penalizzando le diversità, mettendo in crisi le identità personali e culturali, creando complessi di inferiorità/superiorità tra le culture. In tale contesto, che porta con sé esigenze di pluricentrismo e apertura interculturale, l’identità complessa delle persone e delle istituzioni richiede un processo di inculturazione che, se da una parte implica mettere al centro l’alterità delle differenze e delle culture, nello stesso tempo riporta all’essenziale dell’essere, a un’identità dinamica che si confronta e si affida (Perotti 1994, p.18).

La crisi delle concezioni di identità e di cultura ha favorito il passaggio da una visione statica e predefinita a una visione dinamica e costruttivista; da concezioni pregiudiziali e fortemente unitarie a una concezione aperta e interattiva, situata tra il globale e il locale, l’universale e il relativo.

In tale contesto, l’identità e la sua formazione è divenuta piuttosto problematica. Sia a livello individuale che a livello di gruppo, di nazione e di civiltà, l’identità sembra costituire il «tentativo talvolta eroico (e irrinunciabile) di salvazione rispetto all’inesorabilità del flusso e del mutamento» (Remotti 2001, p. 10). L’identità può tendere a irrigidirsi e a cristallizzarsi fino al punto di chiudersi e di misconoscere le connessioni con lo sfondo cui appartiene e con il flusso che permane al fondo di ogni vicenda.

Del resto, l’identità personale si costruisce e si elabora dentro una cultura, che rappresenta lo sfondo e il luogo privilegiato che permette di dare specificità e ‘colore’ ad ogni persona. L’identità non è ‘data fin dall’inizio’, come una dotazione che si riceve alla nascita, ma rappresenta il risultato laborioso e complesso di una storia personale, costruita all’interno di una trama di relazioni interpersonali e d’interazioni molteplici con l’ambiente, a partire dall’elaborazione dei modelli culturali e delle differenti esperienze di vita.

Secondo le acquisizioni della psicologia, della sociologia e antropologia culturale, l’identità non è più considerata come un’entità o una struttura, come ‘ciò che rimane’ al di là del fluire degli eventi e circostanze, degli atteggiamenti e delle esperienze, ma come una realtà costruita, ricercata, ‘inventata’. Essa ha un carattere di ‘costruzione’ che implica un lavoro di differenziazione, cioè di separazione e assimilazione, che si realizza sulla base di un continuo flusso e mutamento. Perché l’identità possa manifestarsi, è necessario che la persona percepisca se stessa come un tutto unitario ed impari a riconoscere la propria separata diversità di individuo (processo di individuazione), in un continuo ‘separarsi da’ e ‘riconoscersi in’, riconoscendosi uguale a se stesso e diverso dagli altri, al di là di tutte le trasformazioni che possono mettere in crisi tale uguaglianza e tale diversità (Erikson 1974, p. 58).

Tuttavia, è l’identità culturale che attraversa una crisi profonda per effetto del processo di omologazione dei media, del crescente distacco dalla tradizione (memoria storica scritta e orale) e del processo di sradicamento dovuto all’emigrazione, alla mobilità territoriale per la ricerca di lavoro o di una patria o per fuga da situazioni politiche, economiche e di vivibilità impossibili (migrazioni dei popoli).

Per uscire dall’impasse della crisi è necessario promuovere dei processi formativi che aiutino a ridefinire e rielaborare, dall’interno del proprio sistema culturale, i tratti fondamentali dell’identità culturale, liberandola da ciò che può ostacolarne lo sviluppo. Il processo di rielaborazione e ri-definizione dovrà realizzarsi all’interno del proprio contesto culturale e dei propri modelli culturali fino alla ri-appropriazione degli stessi e alla sua reinterpretazione. Così potrà svilupparsi una capacità selettiva che consentirà di far fronte a tutti gli altri modelli che arrivano e s’impongono ‘dal di fuori’.

 

Quale cultura e quale identità?

I processi di trasformazione che hanno messo in crisi le nozioni di identità e di cultura rendono più cauti nell’affrontare le problematiche ad essi connesse, per questo è opportuno, per evitare ogni equivoco, chiarire di quale cultura e di quale identità si intende parlare.

In genere quando si parla di cultura ci si trova dinanzi a descrizioni molto ampie, tanto da farla coincidere con l’intera gamma delle attività umane, dai molteplici rapporti tra l’uomo e la natura (procacciarsi e conservare il cibo, assicurarsi il riparo dalle forze naturali, i diversi modi con cui l’uomo domina e controlla l’ambiente naturale) alle interazioni tra simili e tra diversi gruppi sociali, tra i sessi, tra anziani e giovani, ecc., fino all’organizzazione politica e religiosa e agli atteggiamenti di fronte alla vita e alle valutazioni o visioni del mondo e della realtà (etica, estetica, religione). Tali definizioni hanno il carattere di universalità (un’idea generale dell’umanità e della capacità di scambio) che sembra in contrasto con una modalità relativista di concepire la cultura come una combinazione di diverse culture e sub-culture particolari che possono portare ad una vera localizzazione (localismi, nazionalismi, regionalismi, etnocentrismi, ecc.) della dimensione universale della cultura.[3]

La crisi della concezione tradizionale di cultura sollecita un ripensamento critico delle differenti posizioni, soprattutto nei confronti delle immagini di cultura suggerite dal processo di globalizzazione: «la prima immagine implica l’estensione al di fuori di una particolare cultura verso il proprio limite, il globo. Culture eterogenee si incorporano e si integrano in una cultura dominante che alla fine ricopre il mondo intero. La seconda immagine si riferisce alla compressione delle culture: elementi precedentemente isolati sono ora portati al contatto e alla giustapposizione. Le culture si ammassano l’una sull’altra senza chiari principi organizzativi, troppa è la cultura da ordinare e organizzare in sistemi coerenti di credenze, in strumenti di orientamento e conoscenza pratica (Smith 1998, p.17).

Ciò ripropone in maniera drammatica il problema dell’identità etnica (o etnicità) che va salvaguardata in primo luogo dalle minacce di ‘costruzioni mentali’ – spesso di natura ideologica o politica – tendenti o ad omologare oppure a dividere/separare (noi 1 loro) ciò che invece va ricomposto in unità.

Il processo di enfatizzazione dei tratti culturali idiosincratici (identità etnica), infatti, è pericoloso se non si tiene conto della dinamica di cambiamento cui sono sottoposte le identità: un continuo processo di definizione e di ‘riaggiustamento’ nella direzione di un’ulteriore differenziazione dalle altre identità (o di fusione) nel contatto e nello scambio con ‘l’esterno’ con altre culture (interno/esterno, identità/apertura). Non è facile pervenire, dal punto di vista pedagogico, ad un armonico equilibrio tra bisogno di identità/appartenenza e bisogno di apertura ad altre culture, tra educazione nazionale ed educazione alla mondialità. Ogni identità, che è concepita in maniera omogenea e totalizzante, sia essa individuale o comunitaria, è pericolosa o falsa: può diventare uno strumento in mano ai movimenti ideologici o politici che pretendono di definire l’identità in maniera predeterminata, per opposizione ed esclusione nei confronti di altri gruppi ed individui.

Per questo è indispensabile ripensare la nozione di identità in maniera pluralista e dinamica, dal momento che essa condiziona il modo con cui le persone e i gruppi si pensano, si definiscono nelle loro somiglianze/differenze con altri individui e gruppi, e si relazionano.

Francesco Remotti, nel già citato libro intitolato “Contro l’identità”, osserva come nel dibattito culturale attuale sia presente un uso strumentale e distorto del concetto di identità. Egli mette in evidenza che non esiste un’identità come essenza originaria e monolitica. L’identità è un costrutto culturale, un processo aperto all’incontro, allo scambio, alla contaminazione. Egli mette in guardia contro il pericolo di assolutizzare la questione dell’identità, soprattutto dal rischio della reificazione, dell’etnicizzazione e della biologizzazione dell’identità. Sollecita invece lo sviluppo di un pensiero ‘plurale’, dialogico ed aperto, che vada ‘oltre l’identità’ (Remotti 2001, 59-67).

Non bisogna dimenticare inoltre che l’identità nella sua costruzione è strettamente collegata all’appartenenza o alle molteplici appartenenze che la persona nel corso della sua storia e della sua biografia personale incontra. Si ha a che fare con una serie di identità collettive che gradualmente la persona lungo il suo percorso di crescita deve poter riuscire a comporre in unità. Ora, nel momento in cui l’identità perde i suoi ancoraggi sociali che la fanno apparire ‘naturale’, predeterminata e non negoziabile, l’identificazione sta divenendo sempre più importante nell’individuo che cerca disperatamente un ‘noi’ in cui entrare a far parte. Le appartenenze già predefinite o ereditate dalla tradizione o legate allo status e condizione sociale, stanno divenendo sempre più fragili e alterate, specialmente nelle nuove generazioni. Da qui deriva l’esigenza, oggi divenuta sempre più forte, di trovare o fondare gruppi o comunità che diano ai propri membri un senso di appartenenza e così facilitare la costruzione di un’identità. Tali gruppi o comunità, oggi prevalentemente quelli mediati elettronicamente dalle nuove tecnologie comunicative, non riescono ad assicurare la formazione di quel sentimento del ‘noi’ derivante solitamente dall’esperienza del contatto reale, ravvicinato con un gruppo o una comunità di appartenenza (Bauman 2003, p. 25-26).

 

 Identità e alterità, un intreccio irrinunciabile

La questione controversa dell’identità culturale ed etnica, fa riaffiorare un altro problema di fondo: l’enfatizzazione di una logica puramente identitaria, chiudendosi in forme elitarie, narcisistiche ed autoreferenziali, perdendo di vista l’apertura all’alterità, che è coessenziale con l’identità.

Per comprendere l’altro, infatti, occorre andare ‘oltre l’identità’, uscire dall’identità, perché nessuna società, come del resto nessuna persona, ha costruito la propria identità senza il confronto, l’apertura ad altre identità, ad altri influssi provenienti da ‘altrove’. Scrive Remotti in proposito: «Vi è tensione tra identità e alterità: l’identità si costruisce a scapito dell’alterità, riducendo drasticamente le potenzialità alternative; è interesse perciò dell’identità schiacciare, far scomparire dall’orizzonte l’alterità. La tesi che si vuole sostenere è che questo gesto di separazione, di allontanamento, di rifiuto e persino di negazione dell’alterità non giunge mai a un suo totale compimento o realizzazione. L’identità respinge, ma l’alterità riaffiora. L’alterità viene spesso concettualmente emarginata, ma essa riemerge in modo prepotente e invincibile. Vi è da chiedersi se l’emarginazione e la negazione dell’alterità non siano gesti dovuti al fatto che l’alterità si annida nel cuore stesso dell’identità» (Remotti 2001, p. 61-62).

L’identità e l’alterità costituiscono un importante snodo per educare all’intercultura, un intreccio irrinunciabile per la comprensione dell’identità culturale e dei suoi dinamismi di costruzione.

L’identità racchiude in sé concetti diversi, dinamicamente integrati, come continuità e sviluppo, stabilità e cambiamento, uguaglianza e diversità, identificazione e differenziazione, fedeltà alle tradizioni e apertura all’innovazione, maturazione personale e sociale. Nella sua configurazione essenziale, essa potrà dirsi delineata quando la persona è in grado di collocarsi di fronte ai propri cambiamenti, quando è giunta a una sufficiente chiarezza con se stessa, nei gruppi di appartenenza e, più in generale, all’interno del proprio ambiente sociale e culturale.

L’identità è una realtà personale ma anche psicosociale, perché ciascuno si sente se stesso lungo il tempo, pur percependosi cambiato per molti aspetti, e ciò avviene sia se si venga o no riconosciuti come tale dagli altri. Ciascuno trova conferma o disconferma della propria identità nell’incontro/confronto con gli altri, persone, gruppi, ambiente, cultura. Per svilupparsi armoniosamente nella propria identità la persona ha bisogno di essere strutturata contemporaneamente dalle proprie appartenenze sociali, territoriali, etniche, linguistiche e culturali e deve essere capace di assumere anche le ‘identità collettive’, integrandole nell’insieme. [[4]]

Ogni identità ha sempre a che fare con l’alterità, infatti, «la visibilità dell’alterità legata all’appartenenza etnica (colore della pelle, lingua…) e all’appartenenza religiosa (pratiche e riti propri delle diverse religioni di provenienza) può influenzare il processo di identificazione collettiva. Spesso sono questi gli aspetti che risultano più carichi di pregiudizi e di stereotipi nell’immaginario sociale» (Del Core 2000, p. 206).

La centralità dello studio dell’alterità ha permesso di evitare il rischio di sottovalutare il valore della differenziazione, della diversità nell’esistenza dei singoli e delle comunità, nella storia e nelle società, anche se l’esasperazione della diversità ha portato ad accentuare etnocentrismi, orgogli nazionalistici, integralismi religiosi, antagonismi tra culture e civiltà, atteggiamenti razziali. Ciò condurrebbe ad accentuare quegli aspetti di lacerazione e di conflittualità piuttosto che di comunione e di dialogo.

Alla radice dei molti problemi c’è il sospetto o l’equivoco che l’integrazione debba procedere verso una progressiva spoliazione dell’identità dell’altro. Al contrario, perché la differenza sia valorizzata e mantenuta nella sua integrità, è necessario che l’identità dell’altro (l’alterità) sia messa al centro dell’attenzione e dell’intervento formativo. Ciò non è possibile senza un percorso personale di crescita, che necessariamente passa attraverso l’accettazione dell’alterità, quella che è in noi e quella che è fuori di noi, proprio perchè l’alterità è parte integrante dell’identità: l’Io si costruisce nella relazione con l’altro in un processo di identificazione/affermazione interno e di differenziazione esterno.

Una lettura psicodinamica delle comunità multietniche e delle rispettive dinamiche relazionali fa emergere la necessità di scoprire e amare lo straniero (l’alterità) che è in noi. E questo implica un cammino che comporta la possibilità di ‘perdersi’: perdere lo status di stranierità (alterità) che ci abita come oscura paura di perdere il senso di sé, in una fusione tale da confondere i confini di appartenenza, di identità, di definizione della propria comunità di appartenenza e della comunità dell’altro (Di Maria F., Lavanco G., Novara C 1999).

L’intreccio identità-alterità diventa perciò l’asse tematico centrale e unificante i diversi percorsi formativi ed è indispensabile per un’autentica educazione interculturale.

 

Processi di rielaborazione dell’identità culturale

La formazione dell’identità personale e culturale è uno dei compiti di sviluppo centrali nella crescita, non solo nell’adolescenza ma nell’intero ciclo vitale. Il senso di individualità e unicità è il risultato finale di un corretto sviluppo della personalità, fonte da cui si genera un’azione sociale consapevole e adeguata. Ciò è possibile solo in un costante dialogo con il contesto, interiorizzando le norme culturali, interpretando differenti ruoli e mediante il riconoscimento degli altri e della società.

Sovente, nello studio sull’identità, si è trascurato l’impatto e le conseguenze che l’incontro con culture diverse dalla propria possono avere sui processi di rielaborazione dell’identità culturale. È difficile, pertanto, distinguere le componenti dell’appartenenza territoriale/geografica da quelle propriamente etniche e culturali. Non sempre si tiene conto dell’aspetto evolutivo dei percorsi identitari, per cui non si pensa che adolescenti di un determinato contesto, specie se appartenenti a una cultura di minoranze immigrate, possano incontrare delle difficoltà di elaborazione della propria identità culturale, non solo perché di una cultura diversa da quella ospitante, ma perché la loro identità è ancora in costruzione, con tutte le incertezze che questo comporta.

La dimensione etnica dell’identità si sviluppa attraverso un processo di elaborazione e di consapevolezza che s’intreccia con altri processi evolutivi legati al concetto di sé e alla capacità di apertura all’altro. È essenziale allora domandarsi quali sono le modalità d’integrazione dell’appartenenza etnico-territoriale, qual è l’orientamento nei confronti dei rapporti con persone appartenenti ad altre culture, nei confronti dell’altro etnicamente diverso da sé. [[5]]

I principali processi di elaborazione dell’identità culturale da tenere presenti per individuare percorsi educativi adeguati sono:

  1. l’identificazione, quel sentimento di affermazione, appartenenza e valorizzazione del gruppo etnico-territoriale al quale i soggetti appartengono;
  2. l’esplorazione, quell’attività di ricerca e valutazione delle alternative identitarie possibili, mediante l’immersione nella propria cultura o mediante attività di vario genere che portano alla comprensione e all’apprezzamento della propria etnicità;
  3. l’impegno che consiste nel prendere in considerazione l’importanza dell’appartenenza etnico-territoriale per l’elaborazione dell’immagine di sé e il rispettivo investimento di energie per tradurlo in essere;
  4. il confronto sociale e culturale con gli altri gruppi.

 

Altri processi riguardano le modalità d’integrazione che si mettono in atto quando ci si inserisce nel contesto di altre culture o ci si immerge nella cultura del proprio tempo.

  1. Assimilazione, mediante la quale si tende a privilegiare la cultura ospitante a quella di origine e ciò può facilitare l’acculturazione e l’integrazione (frequente è il bi-culturalismo). La persona tende ad adeguarsi alle aspettative dell’ambiente culturale in cui deve inserirsi, con il rischio di dimenticare la propria appartenenza e la propria cultura, diventando ‘come gli altri’, perdendo così ogni colore e specificità pur di ‘sopravvivere’ nell’impatto con gli altri.
  2. Integrazione è un processo che si fonda sul presupposto che la società sia qualcosa di culturalmente omogeneo, il risultato dell’adattamento degli individui ‘diversi’ e del cambiamento del loro modo di vivere e di pensare tanto quanto basta per sentirsi a loro agio con lo stile di vita dell’ambiente in cui si inseriscono. Da qui la sollecitazione a non pretendere l’abbandono totale della propria cultura o della propria identità ma a tollerare le differenze.
  3. Separazione è un processo dinamico opposto ai primi due, perché si privilegia l’appartenenza alla cultura d’origine e ci si colloca in una posizione di marginalità e di isolamento che non solo impoverisce sul piano culturale, affettivo e relazionale, ma può portare a conflittualità ‘distruttive’ (noi contro gli altri).

 

Per non confondere l’integrazione con pseudo-forme di assimilazione è indispensabile individuare delle modalità di integrazione che salvaguardano il rispetto della diversità e nello stesso tempo garantiscano il dialogo e la comunione.

Gli studi e le ricerche condotte finora hanno evidenziato, oltre al carattere interattivo e dinamico dell’identità, anche il ruolo dell’altro nella rappresentazione dell’identità culturale. C’è una specificità collettiva costituita da tratti distintivi e significativi, che, pur conservando la propria originalità, inevitabilmente si modificano e si trasformano nell’interazione. Nel contatto con altre culture avviene una riorganizzazione dei tratti distintivi identificatori che non è scontata.

Occorre fare attenzione ai meccanismi d’identificazione proiettiva o di valutazione selettiva che si possono instaurare nell’incontro con l’altro, ma anche a creare delle condizioni di tempo e spazio perché le persone apprendano un complesso di regole, codici e simboli in base ai quali potersi orientare nel ‘nuovo spazio’ e nel ‘nuovo tempo’, in modo da costruire dei contenitori sufficientemente protettivi e difensivi della propria identità.

Nell’esperienza di riappropriazione dell’identità culturale tre sono i referenti ‘spaziali’ che vanno in ogni modo salvaguardati nell’itinerario educativo: lo spazio geografico dove si iscrive lo spazio ambientale, soprattutto quello familiare con le sue simbolizzazioni e immaginazioni; lo spazio corporeo che corrisponde all’esperienza del sé corporeo (ogni cultura possiede una sua modalità di concepire lo spazio corporeo: le frontiere dell’intimità, le condizioni della conversazione, i modi di ricevere, mangiare, curare l’igiene del corpo); lo spazio linguistico che, oltre la lingua, comprende i sistemi di comunicazione non-verbali, i mondi vitali e di significato.

La formazione dell’identità culturale si realizza nel tempo e nello spazio attraverso due momenti processuali essenziali:

  1. Ri-definizione della propria identità personale in un continuo processo di consolidamento. Nell’impatto con ‘nuove’ identità è necessario ri-definire la propria identità e ciò presuppone già una certa definizione di sé (Chi sono io?) e una certa stabilità (un nucleo interiore) nonostante le trasformazioni a cui l’Io è sottoposto nel tempo e nel contatto con gli altri e con l’ambiente.
  2. Ristrutturazione progressiva dell’identità nel corso della vita. L’identità va continuamente ‘negoziata’. Spesso si osservano degli arresti dell’identità, sia nel contatto con altri gruppi, comunità o culture, sia lungo le stagioni della vita, specie in relazione ai vari cambiamenti (culturali e non). Ciò implica l’abbandono delle precedenti identità, e talvolta la ‘rottura’, per integrare le nuove strutture e relazioni derivanti dalla mutata situazione. Il mettersi a confronto con «l’arcipelago delle nostre tante identità distribuite nel corso del tempo» (Demetrio 1996, p. 34) è un percorso obbligatorio per sollecitare processi di consapevolezza di sé e di riconciliazione che conducono poi all’unificazione di sé.

 

 Conclusione

Comprendere l’altro nella prospettiva dell’educazione all’intercultura non significa indicare soluzioni preconfezionate ma piuttosto aprire una strada individuando percorsi e strategie. Questo presuppone in primo luogo affrontare la questione complessa del relativismo assoluto e dell’universalismo astratto, spesso tra loro contrapposti e inadeguati ad affrontare le problematiche poste dalla convivenza multiculturale.

È necessario, pertanto, creare le condizioni perché l’educazione interculturale abiliti le persone a decentrarsi dal proprio abituale atteggiamento etnocentrico, a modificare le percezioni e gli schemi cognitivi con cui generalmente si rappresentano gli altri, soprattutto se ‘stranieri’ o ‘diversi’, e a superare stereotipi e pregiudizi.

Su questa vasta e ‘intrigante’ realtà esistono molteplici studi e ricerche, come pure delle pratiche educative, che però si muovono in direzioni talvolta unilaterali e opposte, non avendo come punto di partenza prospettico una chiara visione antropologica che tenga conto della integralità della persona e della sua inequivocabile e universale dignità.

Si tratta di ripensare l’educazione all’intercultura in un’ottica multidimensionale e la tematica va affrontata necessariamente mediante un approccio interdisciplinare. Tutto ciò dovrebbe essere tradotto in “laboratorio” perché la teoria, il pensare critico sull’educazione al dialogo interculturale si trasformi in ‘esperienza’, in modo da diventare un “laboratorio permanente” di interculturalità vissuta concretamente.

 

Riferimenti bibliografici

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Del Core P. (2000), Identità e alterità. Fondamenti dinamici della reciprocità e percorsi maturativi. Rivista di Scienze dell’Educazione, 38 (2), 201-234.

Del Core P. (2003), L’identità personale, culturale e vocazionale in un mondo globalizzato. Quali percorsi di formazione? Rivista di Scienze dell’Educazione, 41 (2), 261-279.

Del Core P. (2010), Identità e cultura in interazione: via obbligata per comprendere l’altro, Rivista di Scienze dell’Educazione 48 (2),170-193.

Di Maria F., Lavanco G., Novara C., (1999) Barbaro e/o straniero. Una lettura psicodinamica delle comunità multietniche. (Ed) Milano: Franco Angeli.

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Perotti A. (1994), La via obbligata dell’interculturalità. Città di Castello (Perugia): Ed. Missionaria Italiana.

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Remotti F. (2001), Contro l’identità. Bari: Editore Laterza.

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Smith D. A. (1998), Towards a Global Culture?, in Featherstone M., La cultura dislocata. Globalizzazione, postmodernismo, identità. Roma: Seam.

 

Note

* Pina Del Core, Preside della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium» di Roma, psicologa e psicoterapeuta, è docente ordinario di Psicologia dello Sviluppo e di Psicologia dell’Orientamento e si occupa anche della formazione dei formatori e delle formatrici nell’ambito della vita religiosa e sacerdotale, a livello internazionale e inter-congregazionale.

[1] La riflessione sul rapporto identità-cultura ha dei riflessi rilevanti anche sui processi di scelta sia professionale che vocazionale. È interessante allora comprendere quali siano le ricadute sull’orientamento alle scelte e sulla formazione: a questo livello si avverte l’urgenza di individuare nuovi percorsi di ricerca, anche se tuttavia restano ancora una serie di interrogativi aperti [cf Del Core P. (2003), L’identità personale, culturale e vocazionale in un mondo globalizzato. Quali percorsi di formazione?, Rivista di Scienze dell’Educazione, XLI (2), 261-279].

[2] L’identità – scrive Bauman – è un grappolo di problemi piuttosto che una questione unica e ci si rivela «come qualcosa che va inventato piuttosto che scoperto; come il traguardo di uno sforzo, un ‘obiettivo’, qualcosa che è ancora necessario costruire da zero o selezionare tra offerte alternative, qualcosa per cui è necessario lottare e che va poi protetto attraverso altre lotte ancora» (Bauman 2003, p. 13).

[3] Nell’attuale complessità culturale il concetto tradizionale di cultura, inteso come l’insieme di valori, credenze e pratiche largamente condivise e integrate in una visione unitaria, risulta inadeguato, soprattutto se si parte dal presupposto ‘pregiudiziale’ della superiorità della cultura occidentale. Secondo Smith una cultura globale non ha ragion d’essere perché non potrebbe garantire ciò di cui un gruppo sociale o una comunità ha bisogno per sviluppare un’identità, vale a dire il senso di continuità, una memoria storica condivisa e il senso di un destino comune. «Non vi sono ‘memorie mondiali’ che possano essere usate per unire l’umanità» (Smith 1998, p.180).

[4] La rielaborazione dell’immagine di sé che si avvia nell’adolescenza mediante il confronto e la conoscenza del proprio gruppo e di altri gruppi, si pone in continuità con la ricerca della propria identità e porterà al rafforzamento della consapevolezza della propria identità culturale e quindi ad atteggiamenti più chiari nei confronti della diversità. È l’estensione dei confini identitari al di fuori della propria città o regione o nazione, verso l’internazionalità e la mondialità che rende più facile il gioco delle multi-appartenenze e lascia sperare una maggiore apertura nei confronti delle diversità (Besozzi 1999; Phinney 1990).

[5] I risultati di ricerche italiane e americane hanno evidenziato che l’apertura nei confronti di chi è etnicamente diverso da sé tende ad aumentare significativamente con il crescere dell’età e il contatto con persone culturalmente, etnicamente e/o territorialmente diverse. L’incontro con l’altro diverso da sé costituisce nell’adolescenza una delle condizioni essenziali per quel processo di confronto, senza il quale anche la costruzione dell’identità etnica non approda ad esiti di tipo identificatorio, bensì a forme di chiusura dell’identità.